Da Sasan, discendente di Ardashir, re dei Parti, deriva il nome della dinastia Sasanide che per quattro anni stabilì un secondo, rinato, Impero Persiano. Originari della provincia di Fārs, i Sasanidi resistettero alle tendenze ellenizzanti dei Parti e dei Seleucidi; essi avevano una lingua propria, il pahlāvi , da cui poi si sviluppò il farsi. I Sasanidi furono perennemente in guerra, prima con Roma e poi con Bisanzio (V secolo d.C.), in linea con la politica militare già inaugurata dai Parti. Shāpūr I, discendente di Ardashir, che regnò fra il 241 e il 272 d.C., si spinse fino alla vittoria sui Romani nella celebre battaglia di Edessa (anno 260), battaglia in cui venne anche fatto prigioniero l’imperatore romano Valerio; la stessa religione cristiana, che cominciava a fare i suoi primi proseliti (e i primi martiri), venne duramente avversata dai Sasanidi. Convinti seguaci dello zoroastrismo, i Sasanidi perseguitarono i cristiani anche perché legati a Roma. Il loro regno riuscì a espandersi a ovest inglobando importanti terre arabe (Egitto, Siria e Palestina), e a difendersi a est dagli attacchi dei Turchi: i porti delle città arabe controllate servirono a far fiorire il traffico marittimo e gli scambi commerciali, soprattutto nelle acque del Golfo Persico. Altrettanto importante, durante la dinastia dei Sasanidi, fu anche lo sviluppo urbano e architettonico (alcuni dei templi del fuoco costruiti in questo periodo sono sopravvissuti fino a noi, così come le rovine di Ābād, Firūz, Tāq-é-Bostān e Neishābūr). Le continue lotte, tuttavia, soprattutto contro le truppe di Bisanzio, e i dissapori fra fazioni opposte e interne all’Impero, portarono al lento indebolimento della dinastia che capitolò, infine, sotto i colpi sferzati dagli stessi Arabi che fino a quel momento erano riusciti ad arginare(637 d.C.). L’ultimo re Sasanide, Yazdgard III, regnò fino al 651 ma fu assassinato mentre era ancora in carica.