La Repubblica Islamica

Nell’aprile del 1979 fu proclamata nel Paese la Repubblica islamica.
Ayatollah Khomeini, capo del consiglio rivoluzionario, assunse di fatto il potere, sebbene Mehdi Bazargan coprisse la carica di Primo Ministro provvisorio. Il 30 marzo un referendum sancì la nascita della Repubblica islamica dell’Iran con il 98% delle preferenze. La nuova costituzione prevedeva la coesistenza di due ordini di poteri: quello politico tradizionale, rappresentato dal presidente della repubblica e dal parlamento, a cui furono riservati compiti gestionali, e quello di ispirazione religiosa, affidato a una Guida Suprema (Faqih) coadiuvata da un Consiglio dei Saggi (Velayat-e Faqih), a cui fu demandato l’effettivo esercizio del potere e che riconosceva nell’Islam e non nelle istituzioni politiche il vertice dello stato. Venne istituito anche un corpo di guardiani della rivoluzione (Pasdaran). Tra le prime decisioni del Consiglio dei Saggi ci fu l’avvio di massicce espropriazioni e nazionalizzazioni che cambiarono radicalmente la struttura economico-produttiva dell’Iran.
Intanto lo Shah, che da tempo era malato di cancro, fu accolto negli Stati Uniti per curarsi, ma il nuovo potere iraniano, temendo che ciò potesse preludere a un accordo che fosse sfociato in un intervento americano in Iran in favore di Reza Pahlavi, chiese l’estradizione del vecchio sovrano. Gli Stati Uniti rifiutarono, e ciò innescò manifestazioni di protesta antiamericane da parte degli “studenti islamici”. Quattro di essi, ignorando le prerogative diplomatiche, penetrarono nell’ambasciata statunitense a Tehran e presero in ostaggio circa 66 diplomatici e funzionari.
Il 25 aprile del 1980 il presidente americano Jimmy Carter ordinò un’azzardata operazione di salvataggio, che però si concluse disastrosamente con la morte di otto soldati statunitensi. La vicenda si concluse il 20 gennaio 1981 con la liberazione degli ostaggi in cambio di dieci miliardi di dollari e della fornitura di armi da parte della nuova amministrazione Reagan al regime iraniano impegnato nella guerra contro l’Iraq, anch’esso finanziato e armato dagli USA. Il leader iracheno Saddam Hussein che contava sulla debolezza dell’Iran e, preoccupato dell’influenza sciismo sulla folta comunità sciita irachena, prendendo a pretesto un vecchio contenzioso territoriale sullo Shatt al-Arab lanciò, nel settembre del 1980, una violenta offensiva contro l’Iran. 
Nel giugno del 1981 lo scontro all’interno del regime iraniano tra le forze religiose e quelle laiche si concluse con la sconfitta di queste ultime, culminando con la destituzione del presidente Bani-Sadr, eletto nel 1980, che fu costretto all’esilio. Sul fronte militare, un’altalena di avanzate e ripiegamenti si trascinò per anni senza esito, con costi economici e umani elevatissimi (un milione di morti e 1.700.000 feriti). Nonostante il sostegno di alcuni paesi arabi e occidentali, l’Iraq non riuscì infatti a prevalere e, dopo le prime vittorie, subì l’offensiva iraniana.
I due paesi, ridotti allo stremo, il 20 agosto 1988 firmarono infine un cessate il fuoco, al quale fece seguito un trattato di pace nel 1990. Un anno dopo la morte del maggiore artefice dell’affermazione della Reppublica Isalmica in Iran.

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